2.10.12

L'attesa

Un raggio di sole illuminava un’orchidea. Era domenica e il profumo di quel fiore sembrava più intenso. La scrivania era ordinata, come sempre negli ultimi tempi. I colori tutti in fila, le matite temperate, le penne tutte al loro posto, perfino i pennini puliti, lindi e messi in ordine.

La macchina da scrivere, una vecchia Lettera 32, occupava il centro del tavolo. Il nastro era nuovo, preso da un mucchio di nastri comperati da un robivecchi in un mercatino del centro città, a pochi passi dalla casa.

Luciana la fissava, come faceva ogni giorno da tempo. Aveva deciso di iniziare ad usarla, finalmente. Aveva in mente un romanzo da scrivere, uno di quei romanzi d’amore in cui la protagonista aspetta che lui la vada a salvare. Non da un drago, rinchiusa in una torre d’avorio, addormentata perché punta da un arcolaio. Si limitava ad immaginare un riccone grasso e lurido che aveva chiuso lo spirito di lei in un universo di grettezza dorata. Lui un artista giovane ed aitante, dai modi garbati e gli occhi sognanti.

Poi però, quando si trattava di iniziare a scrivere, c’era sempre qualcosa che glielo impediva. Un giorno pensava che quella trama non era realistica, che un artista non è quasi mai aitante e soprattutto i poeti non brillano per coraggio e sprezzo del pericolo. Un altro giorno pensava che, in fondo, alla giovane garbava la vita in quella prigione dorata fatta di macchine lussuose e caviale e che lasciare tutto per uno spiantato non era la migliore delle idee. Un altro giorno si era accorta che doveva fare la spesa, pagare le bollette, passare dalla sorella che era tanto che non vedeva, portare l’auto dal gommista. Insomma, ormai erano mesi che quella macchina da scrivere era al centro del tavolo e ancora doveva accertarsi che fosse funzionante.

La macchina apparteneva a sua madre. Ricordava quando da piccola la vedeva china a scrivere. Soprattutto la notte. Durante il giorno portava con sé un taccuino dalla copertina di pelle morbida in cui prendeva appunti. Alla sera trovava il tempo per mettersi alla scrivania. Una piccola luce le illuminava il foglio che in poco tempo da bianco come la neve si screziava di parole nere come il carbone. Così nascevano le storie. Racconti per delle riviste femminili, favole per bambini, talvolta un saggio breve. Sua madre scriveva di tutto e lo faceva con una tale facilità che sembrava fosse la cosa più naturale del mondo. C’era da chiedersi come mai non lo avesse fatto per lavoro.

Così Luciana aveva riesumato quella macchina durante il trasloco nel suo nuovo appartamento, sperando quasi che custodisse il segreto del successo, come una lampada di Aladino. All’inizio era convinta che, seduta difronte alla Lettera 32 con una risma di fogli nuovi, tutta la magia sarebbe scaturita da sola. Non fu così, almeno il primo giorno. E nemmeno il secondo. E nemmeno il terzo. E nemmeno i giorni a seguire. La magia non c’era. Le idee erano molte, ma erano confuse e disordinate. Aveva pensato che il disordine della scrivania non fosse d’aiuto e aveva iniziato a mettere tutto al proprio posto, con una precisione maniacale. Quindi aveva dato la colpa al tempo, alla noia, alla mancanza di stimoli e aveva agito di conseguenza.

Ormai ci stava rinunciando. Anche se non aveva voluto ammetterlo a se stessa. Si trascinava vicino alla scrivania. Guardava le foto, sfogliava una rivista, poi usciva a fare la spesa. Ma quel giorno era domenica. I negozi erano chiusi. Era ormai pomeriggio inoltrato, uno di quei pomeriggi bui di inizio novembre. Fuori era freddo e non aveva voglia di uscire. La tv era vuota ed aveva già bevuto un tè.

Fu proprio quello il momento in cui la sua storia ebbe un sussulto. Il telefono squillò e  Luciana non se ne accorse subito. A parte sua sorella e qualche raro amico, nessuno la chiamava. Si svegliò dal torpore con cui fissava il tavolo e prese la cornetta in mano.

Era Fabio, un vecchio amico dell’università. Non si vedevano da molto. A dire il vero Luciana aveva una cotta per lui, ma non gliel’aveva mai detto. Non che fosse un adone e a dire il vero anche lei non era la ragazza più bella del quartiere. Ma erano due tipi carini a modo loro e soprattutto avevano personalità da vendere. Fabio si era laureato con il massimo dei voti, i professori gli avevano stretto la mano mentre lei lo guardava orgogliosa da lontano. L’ultimo ricordo che aveva di lui era proprio il giorno della laurea: al centro dell’attenzione, a bere e cantare in un bar. Un ultimo abbraccio, prima di ripartire, prima che le loro strade si dividessero. Almeno fino a quel momento.

Fabio era tornato in città. Glielo stava dicendo al telefono con un po‘ di incertezza e di imbarazzo. Aveva ancora quella voce chiara e cristallina, allegra. Chissà se era dimagrito o ingrassato, chissà se portava gli occhiali con la stessa montatura di un tempo, chissà se aveva perso i capelli o se erano ancora lunghi sulla nuca.

Luciana si stava facendo mille domande mentre dall’altro capo del filo il suo vecchio amico, per cui aveva tanto gioito e sofferto, le stava chiedendo di uscire per una birra, sempre se la sua proposta non fosse inopportuna. Era sempre stato così, un po‘ timido ed un po‘ galante. E come si faceva a rifiutare ad una proposta del genere?

Lei raccontò brevemente gli ultimi 3 anni della sua vita. La laurea, la scomparsa della madre, il matrimonio della sorella, la nuova casa. Tre anni passati, in definitiva, ad aspettare quella telefonata. Solamente quel momento. Accettò l’appuntamento e riattaccò. Fabio la salutò con una risata.

Il cuore le palpitava un poco. Pensò che aveva poco tempo per fare una doccia, sistemare i capelli, depilarsi, truccarsi. Guardò verso la scrivania. La luce era accesa sulla Lettera 32 che brillava leggermente. La stava chiamando.

Al diavolo le calze velate e la mini gonna, adesso aveva qualcosa da scrivere. E doveva farlo subito.

La macchina iniziò a ticchettare.

Ruadellestelle

2 commenti:

  1. la frase più bella: "Tre anni passati, in definitiva, ad aspettare quella telefonata" ... mumble mumble ... e io sto aspettando o va bene così? e se aspetto cosa aspetto? sarebbe meglio capirlo in meno di tre anni! ; )))

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  2. [...] se non lo avete letto, andate a dare un’occhiata al secondo racconto che troppicolori ha ospitato… e ditemi la vostra! se ti piace condividilo dove vuoiCondivisione Pin ItShare on [...]

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